La scuola dovrebbe rappresentare una piccola comunità, in cui gli alunni si preparano, con l’ausilio dei docenti, a diventare i cittadini del domani. Se così è, la società che si sta preparando per gli anni futuri ha dell’inquietante.
Ormai non si contano più i casi di violenza fisica, verbale e psicologica, che vedono gli alunni agire da bulli, se non da veri e propri criminali, ai danni dei docenti e ciò che rende il tutto ancora più inaccettabile è che non si tratta di casi isolati all’interno di un gruppo classe, perché quando un alunno pone in essere tali comportamenti, i compagni non si indignano, non lo isolano, non prendono le distanze. No, non accade nulla di tutto ciò! La classe, in quelle circostanze, si trasforma in branco. E il branco è feroce! L’aula diventa un’arena, dove tutti sono coprotagonisti accanto al carnefice, chi nel filmare, chi nel sostenere e galvanizzare il “bullo” di turno, con risate e battute. La rete, poi, fa da cassa di risonanza di tutto ciò ed è il luogo in cui la “bravata” diventa virale e tutti la sostengono con i propri “like”. Si giunge, così, all’ultimo atto di questa farsa, che potrebbe apparire grottesca, se non fosse drammatica, che vede l’entrata in scena dei genitori. I paladini dell’innocenza dei propri figli, i loro difensori d’ufficio, i depositari della legalità. I “fanciulli” vengono, allora, difesi a spada tratta, indipendentemente dalla nefandezza compiuta, dal danno arrecato, il tutto assume i contorni della bravata, perché si sa, i propri figli hanno sempre ragione, a casa sono dei ragazzi modello, è la scuola a trasformarli in delinquenti e allora sia la scuola a pagare, giammai i propri figli e guai a chi osa affermare qualcosa di diverso, botte da orbi a quel docente e questa volta a picchiare sono i genitori, che così sentono di dare il buon esempio, di quella che ormai si è trasformata in una giungla, dove l’unica legge è quella del farsi “giustizia” da sé. Si giunge a negare l’evidenza, forse perché riconoscere la gravità di certi comportamenti porrebbe sotto accusa i metodi educativi presenti, ma forse dovremmo dire “illustri assenti” della famiglia contemporanea.
Ora, però, è giunto il momento di fermarsi e prendere coscienza di quanto sta accadendo. Bisogna interrogarsi e trovare delle risposte, che siano poi in grado di diventare percorsi da compiere insieme, prima che sia troppo tardi.
Il punto di partenza non può non essere la riflessione su come oggi la scuola sia percepita dalla società e soprattutto sulla considerazione che si ha del corpo docente. Quest’aspetto è di fondamentale importanza, perché il docente oggi rappresenta per tutti, a partire dai nostri rappresentanti politici, il novello fannullone, colui che non sa fare nulla, non vuole fare nulla, vive a scrocco della società e si gode tre mesi di vacanza all’anno. Poco importa se questo “fannullone” ha conseguito una laurea, spesso un Master o un Dottorato, ha superato un concorso a cattedra tra i più complessi, per mole di studio e per numero di prove previste, ha subito anni di precariato, sia impegnato a casa per ore e ore di lavoro, non per scelta, ma per la mancanza, nelle nostre scuole, a differenza di quelle europee, di spazi a disposizione dei docenti per lavorare, programmare, verbalizzare. Il docente non ha diritto a un luogo in cui possa avere una scrivania, un computer, un armadietto, deve munirsi del necessario per il proprio lavoro e barcamenarsi come può. Deve correre, nel cambio d’ora, da un’aula all’altra, perché la sua responsabilità civile e penale su ciascun alunno della classe a lui affidata, inizia al suono della campanella e non importa se le aule siano distanti o anche ubicate su piani differenti. Si è giunti addirittura a condannare in Cassazione, un Dirigente scolastico e un docente per un incidente occorso a un alunno frequentante la scuola secondaria di primo grado, mentre rientrava a casa. La responsabilità di abbandono del minore non è stata imputata ai genitori, che non hanno ritenuto di dover prelevare il proprio figlio all’uscita dall’istituto, ma al docente in classe all’ultima ora, che non si sa bene per quale motivo sarebbe tenuto, evidentemente, ad accompagnare a casa ogni singolo alunno, al termine delle attività didattiche. Tutto ciò, e molto altro, è chiesto al docente, ma cosa gli si riconosce? Nulla, neppure il rispetto!
Eppure il ruolo degli insegnanti è fondamentale in qualsiasi società. La loro responsabilità non riguarda solo l’incolumità degli alunni loro affidati, a loro è demandato il fondamentale compito di accompagnare e supportare la crescita culturale, sociale, psicologica, di ogni alunno.
Il docente è colui che aiuta ciascuno a sapersi guardare dentro, a saper riconoscere i propri talenti, le proprie potenzialità, è colui che deve far sì che ciascuno dei propri alunni acquisisca l’autostima necessaria ad affrontare la vita, sia in grado di sviluppare il giusto rispetto di se stesso e dell’altro, sia capace di porre in essere relazioni positive, di comprendere il valore del tempo e della vita, sia consapevole di far parte della società civile e di doverne essere protagonista positivo, depositario di diritti e di doveri.
La scuola è tutto questo e molto di più.
Non a caso si ritiene, nelle buone pratiche della didattica, che genitori e docenti, con l’ausilio e il supporto della comunità tutta, debbano cooperare nella difficile pratica educativa, perché solo dal reciproco rispetto delle figure di riferimento più importanti per i giovani, si può giungere a un esito positivo nel percorso di crescita pscico-fisica di ciascun alunno.
Ma dove si è inceppato quest’ingranaggio? Cosa non ha funzionato negli ultimi anni, per essere giunti a questa deriva, fatta di violenza e prevaricazione? Le responsabilità sono tante, ma partiamo dalla politica. Tutti coloro che arrivano a gestire il potere, è sempre da lì che vogliono partire, dalla riforma del sistema scolastico, perché tutti, ma proprio tutti, hanno la risposta e la “ricetta” giusta per risolvere i problemi della scuola. E qual è la soluzione? Gli alunni non possono essere bocciati, i docenti devono dimostrare con fiumi di parole, su chilometri di carte, cosa fanno, come lo fanno, perché lo fanno. Allora, ciascun docente deve farsi carico di scrivere trattati, perché ciò che ha valore non è quanto accade in quell’aula, ma i format che devono essere compilati, sempre più numerosi e sempre più vuoti di significato e privi di valore. L’intervento legislativo non parte mai dall’ascolto degli addetti ai lavori, di chi sta in classe e con gli alunni ci passa la vita e lo fa perché quel lavoro lo ama e l’ha scelto. Forse è anche per tutto questo, che i docenti si ritrovano soli, spesso in strutture fatiscenti, dove la sicurezza è un optional, alla mercé di alunni e genitori che, seguendo il comune sentire, non li stimano né li ritengono degni di considerazione e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Intanto, i decreti si susseguono, fanno e disfano tutto e il contrario di tutto, dispongono e cancellano con un colpo di spugna quanto fatto precedentemente. Dimenticando che qualsiasi provvedimento, se non si basa sull’ascolto di chi vive quella realtà e ne conosce criticità e punti di forza, è destinato a fallire e a inabissare ancor di più un sistema ormai agonizzante.
C’è poi il problema del ruolo genitoriale. Si è persa di vista la capacità e la responsabilità di saper dire “NO” ai propri figli. La vita è frenetica, il lavoro pressante, il successo indispensabile e allora non si ha il tempo di fermarsi a parlare con i propri figli, anche solo a guardarli negli occhi, a studiarne umori e comportamenti. È molto più semplice ed “economico”, in termini di costo della risorsa più preziosa che abbiamo, il tempo, munire i nostri figli dell’ultimo ritrovato della tecnologia, smartphone, i-pad, i-pod, playstation e così via, piuttosto che comprare un libro, leggerlo insieme, fare una passeggiata, andare al cinema con loro. Così, quando questi “figli modello” in classe si uniformano alla massa, assumendo comportamenti offensivi e lesivi dell’altrui dignità o peggio assumendo comportamenti violenti nei confronti dei compagni o dei docenti, questi “illustri sconosciuti”, che sono i nostri figli, vissuti nella solitudine della famiglia contemporanea, dove i modelli di comportamento si acquisiscono dai media e da internet, piuttosto che indurci a fare i conti con la realtà del nostro fallimento in quanto genitori, ci spingono a imbracciamo le “armi” dell’arroganza e della protervia e a recarci a scuola, dove siamo pronti a difendere a spada tratta i nostri pargoli, allora sì, sono i nostri figli e hanno diritto, in quanto tali, a tutto, anche se quel tutto contempla la violazione della dignità di un docente e nei casi più gravi la violenza fisica. La crisi della scuola è strettamente connessa alla crisi della famiglia e della società contemporanea, chiudere gli occhi di fronte a questa realtà non ci porterà lontano.
Bisogna che le istituzioni si facciano carico di tutto ciò, riabilitando i docenti, nel loro ruolo e nella loro funzione, agli occhi dei cittadini e degli alunni. Hanno diritto ad essere gratificati per il lavoro che svolgono, che va riconosciuto e rispettato.
I genitori non possono pensare che tutto gli sia dovuto e i Dirigenti Scolastici non possono essere ostaggio delle famiglie e del mercato delle iscrizioni, con cui la scuola-azienda, ormai, è costretta a fare i conti. La scuola deve tornare ad essere il luogo in cui ha valore il rispetto dell’altro, dove si costruiscono relazioni positive, il luogo in cui l’incontro nasce dal confronto costruttivo, dove si pratica la solidarietà e si imparano a riconoscere l’importanza e il valore delle conoscenze e delle competenze, acquisite attraverso l’esercizio del pensiero critico e della logica, il posto in cui si cresce nel rispetto di quel sistema di valori che fa di una società un luogo sano in cui vivere come cittadini, tutte quelle buone pratiche che, ormai, sembrano appartenere a un passato remoto.